Lin Delija

Indice
 
Introduzione                                                                    3
Capitolo 1. Biografia: vita e formazione                               7
1.1 – Biografia                                                                  7
1.2 - Gli studi nel convento francescano di Scutari                10
1.3 - Gli studi a Zagabria e l’arrivo in Italia                         14
1.4 - Gli studi a Roma                                                      15
 
Capitolo 2. Un nido sicuro dove poter nutrire la propria arte  18
2.1 - L’arrivo ad Antrodoco “ed è come tornare a casa”         18
2.2 - La produzione artistica                                              19
2.2.1 - La tecnica pittorica                                                 28
2.3 - Il rapporto con Madre Teresa di Calcutta                      29
 
Capitolo 3. Lin Delija e l’esperienza dell’insegnamento         32
3.1 - La scuola di Villa Mentuccia                                        32
3.2 - I “Mentucciani”                                                         33
 
Capitolo 4. Ciò che resta, le attività nate in sua memoria      34
4.1 - Museo della Città di Antrodoco Lin Delija-Carlo Cesi      34
4.2 - Associazione Culturale Lin Delija: tutte le attività
      fatte in sua memoria                                                  40
 
Capitolo 5. Lin Delija oggi, fra mostre, tele rubate e la
            patria natia                                                         44
5.1 - La tela rubata all’Ospedale San Camillo De Lellis
      di Rieti                                                                     44
5.2 - Le mostre e i progetti futuri                                       45
 
Conclusioni                                                                     47
Le mostre dal 1957 ad oggi                                              48
Le opere citate nel testo                                                   50   
Bibliografia                                                                     51
Sitografia                                                                       52
Filmografia                                                                     52
 
 

 
Introduzione

1 - L’anima dell’arte

Nel 1997 ignoravo l’anima dell’arte. Avevo due compagni di scuola, fratello e sorella, che abitavano vicino la mia casa ed erano di nazionalità albanese. A 7 anni non si ha, o almeno io non avevo, la percezione del mondo e di tutte le culture che ne fanno parte, ma la loro amicizia mi mise in contatto con un mondo d’oltre mare di cui mi rendo conto solo oggi. Ricordo la loro bellissima mamma, bellissima, eppure così diversa dalla mia, altrettanto bella. Veniva a prenderli a scuola con delle lunghe gonne colorate e foulard sui capelli da cui lasciava intravedere solo degli orecchini ovali. Questa famiglia, oggi emigrata ancora verso il nord Italia, fece tuonare in me la prima domanda.  
Perché si fugge dai propri luoghi d’origine? Arrivarono con pochi soldi e man mano si sistemarono nel mio piccolo paese del centro Italia. Abbandonarono la loro casa e i loro familiari, i loro giocattoli e tutto ciò che avevano per approdare in un posto diverso linguisticamente e culturalmente.  
Un giorno, nel 1997 appunto, alle elementari ci regalarono un libricino,[1] uno dei primi dedicato ad un pittore della stessa nazionalità dei miei compagni, e rimasi colpita dai colori così sgargianti che trovai in alcuni dipinti lì riportati. Erano i colori della gonna e del foulard della mamma dei miei amici, e alcuni ritratti femminili di donna albanese sembravano proprio la mamma dei miei amici; poi vidi immagini con colori più scuri dove ritrovai la casa spoglia in cui abitavano e il dramma dell’emigrazione. Questo pittore, morto nel 1994 riuscì con la sua arte a raccontare tra le tante cose anche le sorti di una famiglia che circa 40 anni dopo di lui aveva scelto la medesima strada, la fuga dall’Albania verso l’Italia.

1. Dell’Agata A. M., Graziani A., Lin Delija dalla figurazione dell’epica di Mestrovic alla levità di Matisse. Attraverso i movimenti fondamentali del secolo l’evoluzione artistica di un maestro del ‘900, Antrodoco, Gruppo Teatrale il Carrozzone, [1997].

Fu questa probabilmente la prima volta in cui intravidi, in modo inconscio, l’anima dell’arte. Quella che oggi cerco al di là dei saggi critici e degli studi altrui. Delija ha saputo donarmela. Quest’anima l’ho colta, mi ha parlato e continuerà a farlo, perché potrò sempre ammirare La Samaritana (Antrodoco, Museo della città Lin Delija - Carlo Cesi) (figura 1) e vedere ancora in quel dipinto la mamma dei miei amici, tornare con la mente ai giorni all’uscita di scuola quando era lì, fra tante altre mamme, ed era come vedere una figura a colori inusuali immersa tra figure pur sempre a colori ma che non si allontanavano mai da una precisa tonalità.  

figura 1 (La Samaritana, 1980)

2 - Contesto storico artistico dell’Albania, dell’Italia e di Antrodoco

Nel dicembre del 1945 il partito comunista albanese si impadronì del potere e schiacciò le altre forze che avevano concorso alla liberazione dall’occupazione italiana e tedesca. Un anno dopo venne proclamata la Repubblica popolare dell’Albania. Enver Hoxha, guida indiscussa del partito e del regime, per impadronirsi del potere totale affidò al partito il compito di plasmare la mentalità e la morale della futura società comunista. Mise al centro della sua politica la persecuzione antireligiosa contro i mussulmani prevalenti nel paese, gli ortodossi, ma soprattutto contro la minoranza cattolica. Fece della persecuzione religiosa una lotta quasi personale. I primi ad essere colpiti furono i membri del clero cattolico, i gesuiti accusati di attività politica, poi i francescani, da secoli punto di aggregazione della vita religiosa e culturale soprattutto nel nord del paese.
I francescani, presenti in Albania dal XIII secolo, avevano legato la loro storia all’identità nazionale e linguistica del paese e fu questo il motivo principale per cui furono bersaglio di una dura repressione, tanto che fin dall’inizio il regime tentò la loro distruzione. Delija in quegli anni frequentava da allievo il convento francescano di Scutari e vide in prima persona l’abuso di potere dell’esercito comunista, poi venne arruolato, ma molti dei suoi compagni di collegio non ebbero la stessa sorte, alcuni, come Zef Pllumi, noto frate francescano per aver raccontato la sua esperienza personale nel libro “Il sangue di Abele. Vivi per testimoniare”,[2] passarono gran parte della loro esistenza in carcere, fino al 1990 con il crollo del regime. Il nostro Delija invece ad un certo punto della sua carriera innaturale da soldato, disertò rischiando tutto. Iniziarono così gli anni del suo pellegrinaggio da esule, prima in Montenegro, poi in Croazia ed infine l’Italia, culla dell’arte.

2. Racconto autobiografico di Zef Pllumi (1924-2007), padre francescano sopravvissuto alla prigione comunista sotto il regime totalitario di Enver Hoxha. Il libro è stato pubblicato nel 2013 da Diana edizioni.  

Negli anni Cinquanta furono molte le forme artistiche diffuse e i moti d’innovazione messi in atto da varie scuole italiane. Nell’ambiente artistico romano, in questi anni si registrarono forme di insofferenza verso i retorici ideali del “Novecento”,[3] movimento nato intorno agli anni ‘20 all’insegna di un più deciso ritorno al realismo della forma classica. Questa insofferenza si manifestò nel rifiuto dei grandi temi e del linguaggio magniloquente dell’arte ufficiale. Alcuni artisti sentirono il bisogno di un ritorno alla pittura dal vero e all’espressionismo del sentimento privato.

3. Negri Arnoldi F., 1990, p. 607 - 608 - 612.

È ovvio come il nostro Delija si ritrovò affascinato dall’ambiente artistico italiano e romano nello specifico; ma questo non bastò, Roma era già allora una città caotica e il caos lo distoglieva da quel sentimento intimo e privato che intendeva riprodurre sulla tela, così nel 1963 arrivò ad Antrodoco, paese rurale, lontano dai rumori dell’industrializzazione e qui creò uno studio nella sua abitazione, poi una scuola al modo delle vecchie botteghe dell’arte.
Ed è questa la storia che voglio raccontare.
 
 
 
Capitolo 1: Biografia: vita e formazione
 
1.1 - Biografia

Lin Delija nasce in Albania a Scutari il 3 febbraio 1926.4 Suo padre era Marc Delija (1875-1945) e sua madre Luce Zefi (1899-1994). Marc Delija apparteneva ad una antica famiglia albanese originaria del Montenegro, i suoi antenati dovettero fuggire in Albania per difendersi dagli invasori islamici, restando così cattolici. Quando conobbe Luce Zefi faceva l’elettricista ed era vedovo con una figlia di nome Rosa Delija dell’età di 9 anni. Nonostante la differenza di età con Luce, più giovane di 24 anni, i due si innamorano e dalla loro unione nacquero altri 6 figli, 4 maschi e 2 femmine: Fran (1921) Lin (1926) Ndok (1931) Sander (1936) Lezina (1938) ed Angelina (1942). In questi anni le popolazioni dei Balcani attraversarono momenti duri e Delija per ricevere un’istruzione fu mandato nel convento dei frati francescani di Scutari dove compì i primi studi fino alla maturità classica.  
4 Questo dato è ricavato dal documento d’identità rilasciato in Italia, oggi in possesso dei nipoti. Ma alcune testimonianze riferiscono un'altra data: 2 marzo 1925. Come scrive il Pittore Livio Caruso, referente della Biblioteca Statale Isontina, nel Catalogo ‘Lin Delija in viaggio verso casa ’: Nel 1949, durante il regime di Enver Hoxha, com’è noto, Lin decide di fuggire dall’Albania, disertando dall’esercito. È del tutto plausibile e comprensibile che per non essere riconosciuto abbia cambiato questo dato.
Finita la Seconda guerra mondiale, in Albania presero il potere i comunisti. Nel 1946, con la proclamazione della Repubblica popolare, iniziò lo stato totalitario di Enver Hoxha il quale aveva già avviato un processo di prosciugamento dell’identità culturale e politica albanese per poterne sovrascrivere una nuova, di stampo comunista. Tra le prime cose vennero chiusi tutti i luoghi di culto e i conventi e i ragazzi che vivevano in questi posti vennero tutti arruolati nell’esercito. Delija fu uno di questi, arruolato venne mandato nel sud dell’Albania.
Ma nel 1948, insieme ad altri amici di collegio, tra cui Zef Martini, disertò. In quegli anni la pena per i disertori, in Albania, era la morte per impiccagione. Nonostante tutto, forse complice l’incoscienza della giovane età, i fuggiaschi oltrepassarono il confine e giunsero in Jugoslavia.  
Purtroppo, la fuga di Delija costò pane amaro alla sua famiglia. La polizia albanese iniziò a tormentare i genitori, i fratelli e le sorelle. Non contente le autorità deportarono tutta la famiglia nel sud del paese, la casa che gli assegnarono era un piccolo tugurio insufficiente per tutta la famiglia. Era vietato avere immagini sacre appese ai muri, non si potevano più festeggiare le feste sacre. Essere cristiani o farsi il segno della croce durante un funerale, o semplicemente manifestare la propria fede, veniva considerato un atto di insurrezione nei confronti dello stato albanese. In quegli anni a Scutari, vennero torturate, impiccate e fucilate migliaia di persone con l’accusa di non essere devote alla nuova Repubblica albanese.  
 
In questi anni, Delija frequentò l’istituto d’Arte di Hercegovi (Castelnuovo, Montenegro) Qui conobbe il professor Kujacic che possiamo definire, veramente, il suo primo insegnante. Terminati gli studi presso Hercegovi, andò a Zagabria. Per spostarsi da una Repubblica slava all’altra trovò molte difficoltà, ma ormai era più maturo e la vita gli aveva insegnato ad essere più scaltro. Mentre Delija era a Zagabria, suo padre Marc, all’età di 60 anni, senza rivedere ne sapere la fine che aveva fatto suo figlio, si ammalò di tumore al fegato e privo di ogni cura, morì. Anche Luce Zefi non rivedrà mai più suo figlio, morirà nel 1971, all’età di 72 anni, per cancro ovarico. Delija aveva 45 anni e già da tempo viveva ad Antrodoco.5  
5Fidanza P., Lin Delija pittore albanese, una vita travagliata vissuta intensamente, in “RM”, 2001, p. 20-21, nel catalogo di Bua R., Cuppini S., 2003, p. 163,
6 Mark Lukolic nasce a Baar in Montenegro nel 1927, scultore jugoslavo, naturalizzato fiorentino.  
Dopo cinque anni a Zagabria, finita l’Accademia, arrivò in Italia nel 1954, come profugo venne in contatto con la comunità albanese, formata da altri fuoriusciti, fra cui l’amico Mark Lukolic,6 e più avanti con il Professor Koliqi allora docente presso l’Università di Roma “La Sapienza” e grazie a lui si iscrisse all’Accademia d’Arte di Roma dove si diplomò nel 1959. Negli anni romani conobbe i fratelli Brunelli che gli misero a disposizione la loro casa ad Antrodoco e lui accettò, trasferendosi nel piccolo paese nel 1963, dove darà vita alla maggior parte delle sue opere, e dove istituirà l’Accademia D’Arte di Villa Mentuccia.l’Università di Roma “La Sapienza” e grazie a lui si iscrisse all’Accademia d’Arte di Roma dove si diplomò nel 1959. Negli anni romani conobbe i fratelli Brunelli che gli misero a disposizione la loro casa ad Antrodoco e lui accettò, trasferendosi nel piccolo paese nel 1963, dove darà vita alla maggior parte delle sue opere, e dove istituirà l’Accademia D’Arte di Villa Mentuccia.l’Università di Roma “La Sapienza” e grazie a lui si iscrisse all’Accademia d’Arte di Roma dove si diplomò nel 1959. Negli anni romani conobbe i fratelli Brunelli che gli misero a disposizione la loro casa ad Antrodoco e lui accettò, trasferendosi nel piccolo paese nel 1963, dove darà vita alla maggior parte delle sue opere, e dove istituirà l’Accademia D’Arte di Villa Mentuccia.l’Università di Roma “La Sapienza” e grazie a lui si iscrisse all’Accademia d’Arte di Roma dove si diplomò nel 1959. Negli anni romani conobbe i fratelli Brunelli che gli misero a disposizione la loro casa ad Antrodoco e lui accettò, trasferendosi nel piccolo paese nel 1963, dove darà vita alla maggior parte delle sue opere, e dove istituirà l’Accademia D’Arte di Villa Mentuccia.l’Università di Roma “La Sapienza” e grazie a lui si iscrisse all’Accademia d’Arte di Roma dove si diplomò nel 1959. Negli anni romani conobbe i fratelli Brunelli che gli misero a disposizione la loro casa ad Antrodoco e lui accettò, trasferendosi nel piccolo paese nel 1963, dove darà vita alla maggior parte delle sue opere, e dove istituirà l’Accademia D’Arte di Villa Mentuccia.
7 Villa un tempo appartenuta al cardinale Federico Tedeschini, donata poi ai “Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria” e ceduta infine alla Comunità Montana del Velino. Sita nei pressi di Antrodoco, sulla Strada Statale 17, dove Lin Delija istituì la “Libera Accademia di Belle Arti Carlo Cesi”.
8 www.halleyweb.com, consultato il 17 febbraio 2019.

figura 2 (Autoritratto, 1993)


1.2 – Gli studi nel convento francescano di Scutari

 A seguito delle continue lotte politiche e religiose i tempi in Albania non furono mai semplici, fu così che Marc Delija mandò, intorno ai 10 anni, il suo secondogenito in collegio dai frati francescani di Scutari per consentirgli di compiere i primi studi fino alla maturità classica.
Di questi anni ci testimonia l’amico di Delija Zef Martini, oggi padre Ambrosio. Ci è pervenuta un’intervista, mai pubblicata, fatta da una studiosa di cui purtroppo non si riesce a risalire all’identità in quanto tale ricerca è giunta, ad un caro amico di Delija, Armando Nicoletti, sotto forma di fotocopie di cui è stata in modo evidente smarrita la prima, o le prime pagine. 9
9 Il dattiloscritto del 2005 è in possesso di un membro dell’Associazione Culturale Lin Delija e non è mai stato pubblicato.
10 Il nome preciso del Padre guardiano viene fornito da Zef Pllumi durante l’intervista riportata nel dattiloscritto, del 2005.  
La studiosa in questione ci narra che giovedì 13 dell’anno 2005 viaggiò verso Scutari per intervistare alcune personalità di rilievo nella fase adolescenziale del nostro pittore, fra cui compagni di collegio appunto, ma anche familiari.
Durante l’intervista Padre Ambrosio ci racconta del suo primo incontro con Delija il 17 settembre del 1938 quando l’allora Padre guardiano Anton Harapi lo accettò nel convento francescano di Scutari.10 Delija era in quel convento già dal 1936. Erano tutti ragazzi seminaristi minori, vivevano e studiavano insieme, sotto un ordine forte e una disciplina severa per essere preparati alla difesa della fede cristiana. Non si allontanavano mai dal collegio e in rare occasioni i genitori andavano in visita. Zef Martini e Delija furono insieme nel convento fino al 1946; dopodiché inizia il tragico racconto dell’avvento comunista.  
Martini ricorda con estrema precisione i momenti di quella giornata disgraziata per tutto il convento e per l’intera comunità di Scutari. I soldati comunisti entrarono con la forza in convento, si comportarono in maniera barbara con i seminaristi ed i professori, li fecero uscire in strada e li separarono l’uno dall’altro, compreso Delija da Martini mandandoli via sconvolti e sottomessi. Molto presto però le loro strade si incrociarono di nuovo. A tutti i seminaristi cominciarono ad arrivare le cartoline per la chiamata al servizio militare, Martini fu mandato a Tirana mentre Delija fu spedito nel sud dell’Albania.
Si rincontrarono dopo parecchi mesi, per caso, nella caserma d’Ali Rizai a Tirana. Tutti e due avevano un permesso per incontrare le proprie famiglie. Il Padre di Martini era molto malato e il 26 luglio del 1948 si ritrovò nella sua casa a Scutari per assisterlo. Lì incontrò di nuovo Delija e suo fratello maggiore Fran.
Fu in quel giorno che decisero di cambiare i loro destini salvandoli dalla violenza comunista. Si giurarono l’un l’altro che di nascosto avrebbero lasciato l’Albania. Padre Zef Martini decise di non tornare più nell’esercito e Delija concorde lo seguì. I due avrebbero dovuto passare il confine fra gli spari dei soldati, visto il rischio molto alto dell’impresa e l’esito incerto, andarono a confessarsi e a prendere la benedizione da Padre Mario Silvani. Ma come ha raccontato il nostro Martini all’anonima giornalista, il Signore fu con loro e tutti e due il 28 luglio del 1948 passando prima dalla città di Theth e poi Qafa e Pejes,11 varcarono il confine albanese arrivando in Montenegro. In questo luogo non avevano nessuno ad accoglierli e, parole testuali di Zef Martini “i primi anni furono un vero e proprio inferno”. Ricorda di quando Delija gli raccontò di essere rimasto tre giorni senza mangiare e proprio quando pensò che stesse morendo di fame, si alzò durante la notte e fece il segno della croce, così si sentì meglio e i morsi della fame vennero attenuati dalla fede.
11 Città albanesi site nei pressi del confine montenegrino.
Dopo un certo periodo cominciarono i brevi studi ad Hercegovi.12 Qui Delija conobbe il professor Kujacic,13 che possiamo definire, veramente, il suo primo insegnante.  Era un pittore molto serio e preparato ed inoltre anche molto dotato, riusciva a cogliere l’anima del popolo dei Balcani; l’arte bizantina di Kujacic, con quei tagli un po’ netti, quei contorni decisi, affascinò subito Delija, poiché questa tecnica, in quel momento, corrispondeva in pieno al suo carattere, al suo modo di modellare e di dipingere. A conclusione del percorso venne offerto ad entrambi un posto di lavoro come insegnanti a Vladimir,14 ma Delija non accettò ed espresse all’amico il desiderio di continuare l’Accademia di pittura a Zagabria. Era l’anno 195115 quando i due amici si separarono definitivamente.
12 Probabilmente visto il periodo di permanenza molto breve, 1948-1950 circa, i due ebbero la possibilità, avendo già frequentato gli studi presso il convento francescano di Scutari, di iscriversi direttamente all’ultimo anno dell’Istituto d’Arte.
13 Il nome del professore è stato fornito da un compagno dell’artista, nell’intervista di Fidanza P.A., Mark Lukolic ricorda il pittore Lin Delija, in RM, 2003, p. 21-23. Poi riportato nel catalogo di Bua R., Cuppini S., 2003, p. 163-164
14 Centro abitato del Montenegro.
15 Probabilmente la testimonianza di Zef Martini in questo caso è errata. Abbiamo testimonianze che Delija studiò presso l’Accademia di Zagabria per circa cinque o sei anni ed arrivo in Italia nel 1954, stando a queste date con più riscontri, probabilmente Delija si separò da Martini fra il 1949 e il 1950.
16 Padre Zef Pllumi nel dattiloscritto del 2005 spiega che il nome del convento è derivato dal fatto che lì si incominciò ad insegnare e studiare la lingua albanese, a scriverla, leggerla ed approfondirla nel suo contenuto. Il convento francescano di Gjuhadol fu uno dei centri di irradiazione della lingua albanese.
La nostra studiosa anonima, dopo aver intervistato Padre Ambrosio, ebbe l’occasione di incontrare ed intervistare sempre a Scutari nel convento francescano di Gjuhadol16 padre Zef Pllumi, frate francescano albanese, tra i pochi sopravvissuti del clero cattolico alla prigione durante il governo comunista, scomparso il 25 settembre del 2007 a Roma.
Padre Zef Pllumi racconta di aver conosciuto Delija in convento, lo descrive come un allievo sveglio; già a dieci anni era in grado di fare ritratti ai maestri e ai suoi compagni. Secondo il parere di Pllumi, aveva una capacità straordinaria in pittura poiché i volti che disegnava mostravano già allora una ben distinta somiglianza con il soggetto ritratto. I responsabili del convento, a detta di Zef Pllumi, decisero che Delija fosse esonerato dallo studio delle materie scientifiche e partecipasse solo alle materie di cultura generale come filosofia, storia e arte. Poi lo affidarono al decoratore Padre Leon Kabashi,
17 Decoratore e insegnante di Delija negli anni del convento a Scutari. Abbiamo due testimonianze, una di Zef Pllumi nel dattiloscritto del 2005, l’altra nell’intervista di Fidanza P.A., in “RM”, 2001, p. 21-23, nel catalogo di Bua R., Cuppini S., 2003, p. 163.
18 Artista e studiosa d’arte nata a Roma nel 1941, fu compagna di vita del Maestro per alcuni anni.
Poi, per farci comprendere il carattere nervoso e irascibile, ma allo stesso tempo giocoso di Delija, racconta dell’amicizia che aveva con Luk Kacaj, diventato in seguito un famoso cantante lirico, e di come una volta ritraendolo si fosse innervosito perché non stava fermo. “Si arrabbiò in maniera estrema, tanto che non potrò mai dimenticare il suo nervosismo quel giorno, ma Lin dimenticava presto e per lui Luk Kacaj era un amico”. Ed era un amico proprio perché avevano un'altra passione in comune: il canto. Pllumi racconta che Delija era il secondo prodigio canoro nel seminario, dopo appunto Luk Kacaj. Aveva una bella voce e intonava i canti di Scutari, inoltre riusciva ad imitare molte persone cambiando la voce, la mimica del viso ed i gesti. Nei ricordi del Padre evince chiaramente che Lin Delija fosse stato in più occasioni ‘l’anima della società’.
Con l’arrivo del comunismo i giorni di spensieratezza e studio nel convento finirono, Padre Zef Pllumi e Delija vennero separati e le loro strade si divisero, uno venne incarcerato e visse in prigione per quasi tutta la sua esistenza, l’altro, fuggi dall’Albania e poi si sposto da un posto all’altro prima di trovare la sua casa in un piccolo paese del centro Italia.
Riguardo le doti canore del nostro artista abbiamo numerose testimonianze, una ad esempio avuta in occasione delle celebrazioni “Omaggio a Lin Delija”, indette dal Comune di Antrodoco il 21 agosto 1997 dove Anna Dell’Agata18 raccontò: “La sua vocazione all’arte, nel canto della bellezza e dell’armonia, era così legata alla sua sensorialità fisica tanto da espandersi in una vocalità canora straordinaria, il suo ‘Do’ di petto l’avevano paragonato a quello di Caruso; tra le due vocazioni, il canto e la pittura, aveva sacrificato l’uno per l’altra.”sensorialità fisica tanto da espandersi in una vocalità canora straordinaria, il suo ‘Do’ di petto l’avevano paragonato a quello di Caruso; tra le due vocazioni, il canto e la pittura, aveva sacrificato l’uno per l’altra.”sensorialità fisica tanto da espandersi in una vocalità canora straordinaria, il suo ‘Do’ di petto l’avevano paragonato a quello di Caruso; tra le due vocazioni, il canto e la pittura, aveva sacrificato l’uno per l’altra.”
19Dell’Agata A., Per Lin Delija, comunicazione orale in occasione delle celebrazioni “Omaggio a Lin Delija”, indette dal Comune di Antrodoco il 21 agosto 1997, in catalogo di Bua R., Cuppini S., 2003, p.162
20  Fidanza P. A., Mark Lukolic ricorda il pittore Lin Delija, in RM, 2001, p. 21-23 in catalogo di Bua R., Cuppini S., 2003, p.164
 
1.3 - Gli studi a Zagabria e l’arrivo in Italia
Nella capitale della Croazia si iscrisse circa nel 1950 all’Accademia di Belle Arti, mostrando il diploma dell’istituto d’arte. In quegli anni non aveva nessun tipo di risorsa per vivere e si rivolse agli istituti religiosi. A detta del suo amico di convento Mark Lukolic, rincontrato negli anni successivi in Italia, a Firenze, la scelta della Croazia non fu fatta a caso, i croati sono tutti cattolici e lui sperava che qualcuno avrebbe potuto aiutarlo, come del resto avvenne, da parte di un convento di suore che passarono il vitto a Delija in cambio di qualche dipinto e qualche decorazione.20
Nell’intervista del 2005 Sander Delija, fratello minore di Lin, ci regala un angolo della biografia rimasto buio, il passaggio dalla Croazia in Italia. Fu lo stesso Delija a raccontarlo quando nel 1992 fece per la prima volta ritorno in Albania. Raccontò che conclusi gli studi a Zagabria gli venne offerto un lavoro come pittore di manifesti ma lui non accettò e decise di allontanarsi di nuovo, questa volta verso l’Italia. Arrivò in un campo rifugiati a Trieste e anche dal campo fu capace di fuggire. Questa volta verso Firenze.
Nel 1954 Lin Delija arrivò in Italia e a Firenze si ricongiunse con l’amico di collegio Mark Lukolic. Fuggito anch’egli alla cattura per diserzione. Nel 2001 ha raccontato in un’intervista il suo primo incontro con Delija: “Ero rimasto orfano dei genitori e allora raggiunsi un mio zio che si trovava a Scutari, il quale mi portò in collegio, dove venni iscritto al liceo classico, gestito dai francescani, e fu lì che incontrai per la prima volta Lin Delija. Da parte mia ci fu subito simpatia, perché nella nostra scuola, tra gli studenti, lui era già conosciuto come pittore. Non eravamo nella stessa classe poiché lui era più grande di me di un anno, ma il mio amore per l’arte mi portò più facilmente ad avvicinarmi alla sua persona e diventammo amici”.la prima volta Lin Delija. Da parte mia ci fu subito simpatia, perché nella nostra scuola, tra gli studenti, lui era già conosciuto come pittore. Non eravamo nella stessa classe poiché lui era più grande di me di un anno, ma il mio amore per l’arte mi portò più facilmente ad avvicinarmi alla sua persona e diventammo amici”.la prima volta Lin Delija. Da parte mia ci fu subito simpatia, perché nella nostra scuola, tra gli studenti, lui era già conosciuto come pittore. Non eravamo nella stessa classe poiché lui era più grande di me di un anno, ma il mio amore per l’arte mi portò più facilmente ad avvicinarmi alla sua persona e diventammo amici”.
21 Fidanza P. A., Mark Lukolic ricorda il pittore Lin Delija, in RM, 2001, p. 21-23 in catalogo di Bua R., Cuppini S., 2003, p.163,
22 Luigi Stefani nato a Zara nel 1913, fu testimone dell’olocausto del popolo dalmata, alcuni suoi seminaristi (era anche lui studente e, nello stesso momento, insegnava ai più giovani) ancor vivi, furono “infoibati” dai partigiani comunisti di Tito. Nella Seconda Guerra Mondiale fu cappellano militare della Divisione Tridentina, orgoglioso del suo “cappello alpino” arrivò, esule, a Firenze nel 1945 dove fu nominato dal Vescovo Elia Dalla Costa, Cappellano dell’Arciconfraternita di Misericordia di Firenze, dove ha prestato servizio per oltre trent’anni.
23 (Scutari 1903-Roma 1975) è stato uno scrittore, poeta e drammaturgo albanese. In Italia, insegnò albanese nell’Università di Roma.
Sempre a Firenze, in questi anni, venne in contatto con Monsignor Luigi Stefani,22 originario della città croata di Zara, cappellano della Confraternita di Misericordia di Firenze, aveva creato Lo Sprone, Galleria dei giovani artisti (chiamata così dal nome della via omonima) e stava preparando nella stessa sede una Piccola Accademia di Pittura, a cui servivano insegnanti. A Delija venne offerto il lavoro ed accettò molto volentieri, poiché quando si parlava di arte non conosceva nessun tipo di difficolta né sacrificio. Ma come ci testimonia l’amico Lukolic “Lin odiava la burocrazia (che necessariamente implica l’attività di docente), temeva che lo distraesse dal suo lavoro di pittura”.
Così lasciato il ruolo di insegnante a Firenze si diresse a Roma dove iniziò di nuovo un percorso da allievo.
 
1.4 - Studi a Roma
Arrivato a Roma conobbe il professor Ernest Koliqi,23(figura 3) con il quale instaurò una profonda amicizia. Quest’ultimo era il padre della moderna letteratura albanese ed era stato ministro della cultura in Albania. Koliqi venendo in Italia divenne docente presso l’Università di Roma “La Sapienza” dove insegnò lingua e letteratura albanese. Delija gli fece un bellissimo ritratto. È grazie al professor Koliqi che riuscirà ad avere una borsa di studio che gli permetterà di iscriversi all’Accademia di Roma in via di Ripetta 54 e diplomarsi nel 1959. C’era una profonda e reciproca stima fra i due grandi albanesi.letteratura albanese. Delija gli fece un bellissimo ritratto. È grazie al professor Koliqi che riuscirà ad avere una borsa di studio che gli permetterà di iscriversi all’Accademia di Roma in via di Ripetta 54 e diplomarsi nel 1959. C’era una profonda e reciproca stima fra i due grandi albanesi.letteratura albanese. Delija gli fece un bellissimo ritratto. È grazie al professor Koliqi che riuscirà ad avere una borsa di studio che gli permetterà di iscriversi all’Accademia di Roma in via di Ripetta 54 e diplomarsi nel 1959. C’era una profonda e reciproca stima fra i due grandi albanesi.
24Bua R., Cuppini S., 2003, p.164
25 Mario Mafai Volpe (Roma 1902-1965) già all'età di quindici anni manifesta una notevole predisposizione per l'attività artistica. Inizia a frequentare il corso serale di scuola preparatoria per le arti ornamentali del Comune di Roma. Il suo insegnante dell'epoca, Antonio Calcagnadoro, sarà ricordato con gratitudine da
figura 3 (Ritratto del professor Ernest Koliqi, 1963)

Gli anni di studio all’Accademia di Belle Arti di Roma furono segnati dall’insegnamento di Amerigo Bartoli e Mario Mafai legando per sempre Delija alla “Scuola Romana” che si opponeva a una visione arcaica dell’arte a favore di una visione espressionista. Nello specifico Mafai,25 fu il suo insegnante di colore e Bartoli
Mafai. Nel 1924 conosce il giovane artista autodidatta Gino Bonichi, che dal 1929 adotterà il nome d'arte Scipione. L'incontro segna l'inizio di un'amicizia che diventerà sodalizio artistico e durerà circa dieci anni fino alla morte prematura di Bonichi. Insieme frequentano la scuola libera del nudo annessa all'Accademia di belle arti di via Ripetta dove Mafai ritroverà il suo Maestro Calcagnadoro. Inoltre incontrerà la compagna di vita Antonietta Raphael Mafai, i tre, Mafai, Raphael e Scipione, costituirono il nucleo iniziale di una compagine più numerosa e diversificata di artisti, operanti a Roma negli anni Trenta, con tendenze espressionistiche anticonformiste, cui si da il nome di Scuola Romana ovvero un eterogeneo gruppo di artisti di attitudine espressionista, attivo a Roma tra il 1928 e il 1945. Nonostante la definizione acquisita nel tempo, è da tener presente l'oggettiva impossibilità di riscontrarvi il carattere organico di una vera e propria "scuola".
26 Negli anni Sessanta Assessore ai lavori pubblici di Antrodoco, in seguito diventerà un allievo ed estimatore del Maestro presso la Villa Mentuccia.
27 La famiglia Brunelli originaria di Antrodoco mise a disposizione del pittore la casa in Via Mannetti. Delija lascerà ai fratelli Brunelli gran parte della sua eredità artistica.
28 www.halleyweb.com , consultato il 17 febbraio 2019.
di disegno. Inoltre, in questi anni, viene in contatto con il poeta e insegnante di storia dell’arte Mario Rivosecchi, che nel 1938 aveva assunto la direzione dell’Accademia in via di Ripetta. Altre personalità di spicco insegnarono al giovane Delija, come Franco Gentilini per la pittura e la decorazione, titolare della cattedra dal 1955, Maccari per l’incisione e Paneggia per l’arredo.  
Durante gli anni di studio conobbe la compagna d’Accademia Maria Cricchi, antrodocana, che lo presentò ad alcuni compaesani fra cui Rolando Fainelli,26 e poi ai fratelli Brunelli.27 In quegli anni visse e abitò in via di Ripetta, vicino l’Accademia, la casa apparteneva al Vaticano, quando fu venduta lui dovette andar via. I Brunelli gli misero a disposizione la loro casa ad Antrodoco e lui accettò. Era già stato una volta in paese, grazie a Rolando Fainelli, allora Assessore ai Lavori Pubblici del Comune, per svolgere un lavoro artistico all'interno della scuola elementare “Luigi Mannetti”. Preparò un bozzetto sul quale l’artigiano scultore Sotero Sciubba fece un bassorilievo, posto all'ingresso della stessa. Quando arrivò ad Antrodoco, il Maestro aveva 34 anni, ed è qui che svolgerà la maggior parte del suo lavoro. 28
 
 
 Capitolo 2: Un nido sicuro dove poter nutrire la propria arte
 
2.1 - L’arrivo ad Antrodoco: “ed è come tornare a casa”  
Nei primi anni Sessanta il paesaggio Antrodocano era molto distante da quello caotico romano, pervaso dall’entusiasmo del boom economico e dalle neoavanguardie artistiche.29 In quell’angolo di mondo, ai piedi dell’imponente Monte Giano, resistevano gli ultimi sprazzi di una civiltà contadino-rurale. Lin Delija venne accolto tra gli antrodocani che lo apprezzarono per la sua atipicità e, coniando il termine usato da un allievo, non tentarono mai di “addomesticarlo”.30 Molte persone aprirono le porte delle loro case per invitarlo la domenica a pranzo, chi più chi meno, molti abitanti di Antrodoco cercarono di aiutare il pittore esule dalla propria terra come meglio potevano, gli consentirono di fare l’artista e di vivere d’arte, seppure con molte difficoltà.  
29 La storia dell’arte figurativa del Novecento è scandita dal prodursi di continui mutamenti delle forme di linguaggio, per opera di artisti che, associati in gruppi di tendenza o in più vasti movimenti, si pongono all’ avanguardia del processo di rinnovamento artistico.
30 Grassi F., Lin Delija e il suo sguardo di artista su Antrodoco, in catalogo a cura di Accerboni M., 2019, p.47
31 Si veda il link: https://www.youtube.com/watch?v=Krkaqv7tWjk , consultato il 15 settembre 2018.  
Delija dichiarò in più occasioni che Antrodoco con il suo paesaggio montuoso ed imponente, con la luce di certi vicoli e nei volti della gente, gli ricordava la sua amata Scutari. Tra i monti e il fiume Velino trovò l’ambiente adatto alla sua pittura e al suo modo di sentire. Lo definì un paese tranquillissimo, di gente semplice e fiera, come le persone che ricordava per le strade della sua Scutari, questo luogo si trasformò per lui in una galleria inesauribile di tipi e modelli da ritrarre. “Qui si lavora bene, lontano dai rumori delle grandi città” così affermava nell’intervista per il documentario della Rai girato il 25 febbraio 1979 con la regia di Gjon Kolndrekaj.31
Da Antrodoco partirà per le varie parti del mondo e d'Italia, per esporre i suoi quadri, e far conoscere la propria arte. 2.2 - La produzione artistica
La formazione artistica di Lin Delija comincia nel convento francescano di Scutari e già di questi anni si hanno testimonianze letterarie della sua abilità nel ritrarre i volti e le fisionomie dei suoi compagni di collegio. Interrotti, a causa del regime comunista, i suoi studi proseguirono altrove, prima in Montenegro a Hercegovi poi a Zagabria. È ovvio che in questi anni Delija abbia assorbito le suggestioni artistiche e culturali dei Balcani, soprattutto della tradizione bizantina caratterizzata da una raffinata cromia e dalle stilizzazioni dell’iconografia sacra. Ma troviamo anche modelli dalla forte ispirazione plastica acquisiti dallo studio dello scultore croato Ivan Mestrovic. Poi con l’arrivo in Italia conobbe direttamente la grande tradizione dell’arte italiana, le scuole pittoriche del rinascimento e specialmente quella veneta basata sulla luce e il colore.  
Durante la seconda metà degli anni 50, studiando nell‘Accademia di Belle Arti di Roma sotto la guida di Bartoli e Mafai, Delija assimilò gli ultimi strascichi della “Scuola Romana”, nata intorno agli anni 30 e caratterizzata da tendenze espressionistiche anticonformiste, dal ritorno a una pittura dal vero capace di cogliere l’espressione del sentimento privato. Delija, attraverso un’interpretazione personale, ha elaborato gli aspetti che gli erano più consoni legati soprattutto alla libertà. Scegliendo l’espressionismo, linguaggio opposto al razionalismo e al ritorno all’ordine, che erano stati punto di riferimento nell’arte a cavallo fra le due grandi guerre, diede una personale interpretazione del movimento, ispirandosi anche in parte ai pittori fauves, che affidarono il loro messaggio alla forza del colore. Durante questi anni Delija ci restituisce anche immagini cupe fatte di impasti tendenti al nero, nati da stati d’animo di solitudine e incomprensioni dovuti alla sua situazione da esule. Sono questi gli anni in cui cerca la forza per un nuovo linguaggio, forza che gli giungerà con l’arrivo ad Antrodoco. Qui visse di arte e per l’arte, ciò risulta evidente anche dagli scatti presenti nella raccolta Chiuppi,Qui visse di arte e per l’arte, ciò risulta evidente anche dagli scatti presenti nella raccolta Chiuppi,Qui visse di arte e per l’arte, ciò risulta evidente anche dagli scatti presenti nella raccolta Chiuppi,Qui visse di arte e per l’arte, ciò risulta evidente anche dagli scatti presenti nella raccolta Chiuppi,Qui visse di arte e per l’arte, ciò risulta evidente anche dagli scatti presenti nella raccolta Chiuppi,
32 Pasquale Chiuppi, fotografo antrodocano e attuale Presidente dell’Associazione Culturale Lin Delija.
33 Grassi F., Lin Delija e il suo sguardo di artista su Antrodoco, nel catalogo a cura di Accerboni M., 2019, p.49
 
figura 4 (Via Mannetti, 1979)


figura 5 (Via Mannetti, 2019)
Figura 6 (fuga in Egitto, 1977)

La pittura di Delija porta poi un indelebile marchio, quello dell’esule. Ad esempio, lo percepiamo dalla rappresentazione della Fuga in Egitto (Osimo, Museo Civico) (figura 6) che ci mostra la sofferenza per l’abbandono della terra natia, la tragedia di una famiglia perseguitata e l’affanno della fuga vibra sulla tela.  
Le sue madonne in trono hanno visi dolcissimi e costumi della tradizione albanese. Nell’arte sacra le capacità della resa emotiva giungono al massimo. Nell’Arcangelo Michele e il diavolo (Antrodoco, Museo della Città Lin Delija - Carlo Cesi) (figura 7) la figura del Santo si erge imponente con le immense ali respingendo il diavolo che perisce, e con lui le guerre, e i drammi sociali. figura 7 (L’Arcangelo Michele e il diavolo, 1975)

 
 Delija attraverso la sua arte vuole mostrarci gli orrori subiti dal popolo albanese e nello specifico dalla comunità cattolica, la rappresentazione di queste strazianti vicende prende forma nel dipinto Impiccagione dei Sacerdoti (Antrodoco, Museo della Città Lin Delija - Carlo Cesi) (figura 8). La violenza di questa rappresentazione non lascia spazio a commenti, ci pone con lo sguardo di fronte le atrocità commesse dal regime sul popolo albanese e sulla comunità cattolica. La composizione è divisa in due parti, in primo piano sulla destra c’è un corpo deturpato e legato a una colonna che cerca in qualche modo di divincolarsi con gli ultimi aneliti di vita rimasti. Strati
di pennellate rosse si confondono con la figura del condannato, che può essere identificato con il Cristo stesso e diventa testimonianza della brutalità perpetuata dal regime. E come per voler etichettare in modo indelebile queste atrocità Delija pone la scritta, in parte ancora leggibile, dove si riconosce il suffisso del termine albanese “komunizmi”: “izmi”. La parte di sinistra mostra una staticità angosciante, nei due corpi appesi senza vita con una cromia affidata a tinte brune e violacee stagliate su uno sfondo grigio-blu claustrofobico.  
figura 8 (Impiccagione dei Sacerdoti, 1970)

Ma Delija è capace di esprime il sacro anche attraverso la rappresentazione del quotidiano. Per dipingere i volti dei suoi Santi, si ispira agli anziani del paese, con i volti tagliati dai segni del tempo. Le lavandaie chine sull’acqua del fiume richiamano la donna in preghiera e le vecchiette con la schiena curva accomodate nei vicoli lasciano percepire la caducità della vita che solo la fede può superare. C’è forza nei suoi Antrodocani e Delija raccontava nei loro corpi una vita dura.
“Il mio pensiero è arte sacra” si espresse così l’artista parlando del proprio lavoro. Fra i molti esempi che si potrebbero fare, scelgo di citarne uno in particolare, soffermandomi sul Davide Re (Antrodoco, Museo della Città Lin Delija - Carlo Cesi) (figura 9). Roberto Bua, che progettò il Museo della Città insieme a Silvia Cuppini, scrisse, nel Catalogo realizzato a quattro mani,34 che studiando i quadri, l’ultima opera che misurarono e trascrissero prima di andare a pranzo fu appunto il Davide Re:
34 Bua R., Cuppini S., Lin Delija All’incrocio degli sguardi, 2003, p.44
“Con una certa curiosità guardavamo l’immagine di quest’uomo seduto, con i baffi, un uomo semplice che suonava l’organetto e portava la corona sulla testa. La Bibbia racconta che il giovane Davide, dopo aver liberato Israele vincendo il filisteo Golia, tornato a casa suonava la cetra.
Sul finire del pasto giunge un uomo che ci porta una ricotta freschissima da mettere nel caffè. Si chiamava Attilio, pastore ad Antrodoco: mungeva a mano, due volte al giorno, più di cento pecore. Gli altri convitati ci dissero che con Attilio trascorrevano delle splendide serate. “Attilio canta qualcosa ai signori, prendi l’organetto!”. Lin Delija qualche anno prima lo aveva dipinto mettendogli la corona di Re. Anche lui ha messo la corona al pastore.”
Il massaggio è indiscutibile.  figura 9 (Davide Re, 1990)

Ma il nostro Artista è tanto sensibile al sacro quanto al profano. La figura femminile lo commuove e lo agita, mettendo in contrasto la sua anima pudica e spirituale con quella sua parte più viscerale legata alla carnalità; che sia la ‘vecchia raggrinzita’ o “l’Eva tentatrice” Lin Delija considerava la donna come il massimo capolavoro del Padreterno. Ovunque la femminilità è glorificata, dalle dimensioni dei grandi fianchi alle matronali voluminosità delle lavandaie, la dolcezza infinita degli occhi e delle bocche,35 delle posture di donne o anziane signore sedute nei vicoli del paese. Nei corpi delle donne la materia si fa liquida e luminosa (figura 10), la pennellata diventa ampia lo spazio si fa più libero e la composizione cromatica diventa felicissima.36 Come è evidente dai suoi dipinti, anche non essendosi mai sposato, Delija fu sensibilissimo al fascino e alla sensualità emanati dal gentil sesso.

35 Dell’Agata A.M. Lin Delija dalla figurazione dell’epica di Mestrovic alla levità di Matisse. Attraverso i movimenti fondamentali del secolo l’evoluzione artistica di un maestro del ‘900, Gruppo Teatrale il Carrozzone, [1997], p. 10
36 Graziani A. Lin Delija dalla figurazione dell’epica di Mestrovic alla levità di Matisse. Attraverso i movimenti fondamentali del secolo l’evoluzione artistica di un maestro del ‘900, Gruppo Teatrale il Carrozzone, [1997], p. 6
figura 10 (Nudo disteso, 1984)
L’ultima stagione umana ed artistica è caratterizzata dal dolore dell’uomo stanco e l’artista disilluso, il rancore e la rabbia per la tragedia dell’albanese esule verso l’Italia sono rappresentati dall’ultimo ciclo di opere dipinte per la cattedrale di Scutari, mai giunte a destinazione. È un ritorno a temi antichi, affrontati con tutta la pregnanza della materia sfatta, che rivelano un mondo decomposto.
 
2.2.1 - La tecnica pittorica
Lin Delija con la pittura seppe mobilitare intorno alla sua arte generazioni di giovani. Il suo insegnamento, votato al rigore e alla disciplina, è stato trasmesso dalla mano dei suoi allievi più dotati, alcuni attivi tutt’oggi in Italia.  
Esordì con la pittura ad olio su tela. Nei primi anni di attività venne utilizzata con segno rapido e sciolto, sfruttando al massimo le capacità di questa tecnica di creare finissime velature trasparenti lavorando il colore bagnato e riuscendo così ad ottenere effetti di luce e profondità difficilmente raggiungibili con altre tecniche pittoriche. Nella seconda metà degli anni Settanta, per ragioni di salute in primis, accantona la pittura ad olio sostituendola con l’uso della tempera. Diventato ormai intollerante alle componenti volatili della trementina (resina vegetale oleosa, fluida, chiara, e volatile, usata nella pittura ad olio per diluire i pigmenti o per lavare i pennelli), Delija dovette adottare una nuova tecnica.
“Le tempere grasse alla caseina vennero usate con il supporto degli acrilici, a rinforzare toni e accenti. Con la tecnica cambia anche il supporto: dalla tela al compensato. La natura della tempera suggeriva ricerche diverse e consentiva esiti nuovi: campiture ampie” … ”toni vellutati di grande raffinatezza. La possibilità di intervento immediato sulle stesure precedenti, per i tempi rapidi di essicazione, ha consentito a Delija di diventare padrone della velatura e di ogni raffinatezza cromatica e stilistica. Ma la tempera non consente approssimazioni. Le mescole danno risultati non certi e variabili a seconda della densità e della modalità di stesura. I colori, asciugando, cambiano, rendendo difficile il controllo dei valori tonali sia nella velatura che nella stesura a corpo”.
37 Graziani A., Gruppo teatrale il Carrozzone, 1997, p.7-8
Passare dalla juta al compensato, invece, ha significato per Delija la possibilità di approfondire nuove soluzioni formali. Non avendo il supporto del telaio le composizioni potevano evolversi in esiti diversi rispetto al progetto iniziale dell’opera, potevano essere ridotte o ampliate, tagliando o assemblando le varie tavole. Questa ricerca portò il Maestro ad una profonda coscienza e conoscenza della composizione dell’opera d’arte.
Volendo concludere il discorso sulla produzione e la tecnica pittorica del nostro Delija, intendo fare un ultimo excursus sui punti fondamentali della sua formazione.  
Il primo, ovviamente, riguarda gli studi presso il convento francescano a Scutari, in cui si è creata la coscienza del cattolico che mette a disposizione della fede la sua arte. La seconda fase, quella degli studi prima in Montenegro e poi a Zagabria, l’ha avviato all’arte del disegno, che elaborò da due diverse figure: una è quella del Maestro Kujacic, stilisticamente vicino all’anti plasticità e alla raffinatezza cromatica tipica dell’arte bizantina; l’altra, completamente opposta, è ispirata ai modelli dalla forte plasticità dello scultore Ivan Mesrovic. Arrivando poi in Italia nel 1954, venne in contatto con tutte le maggiori avanguardie artistiche. La lezione della Scuola Romana, assorbita tramite il suo insegnante Mafai, gli lascerà un’impronta espressionista indelebile. Inoltre, tramite il Maestro, che nel 1930 fu a Parigi, studiando e assorbendo gli esiti artistici dei pittori fauves, Delija assimilò proprio quest’uso spregiudicato del colore che si evolverà poi verso una stesura pittorica più liquida e informale. Il risultato è un artista padrone di un doppio espressionismo, palesato sia attraverso lo studio della resa emotiva, sia attraverso il cromatismo, dando alle immagini un’ulteriore carica di tensione emotiva.
 
2.3 - Il rapporto con Madre Teresa di Calcutta  
Ad Antrodoco incontrerà dopo il 1980 la compaesana Madre Teresa di Calcutta38 e la ritrarrà in più occasioni.  
38 Al secolo Anjezë Gonxhe Bojaxhiu [a'..z. 'g.n.. b.ja'.u], (Skopje 1910 - Calcutta 1997)
39 Grassi F., Lin Delija e il suo sguardo di artista su Antrodoco, nel Catalogo a cura di Accerboni M., 2019, p.48
40 www.ilmondo.tv , consultato il 3 gennaio 2019.
In un’incredibile testimonianza Gabriella Trani racconta che entrando in casa del pittore quando fu sua allieva, “per fare lezione o per rifargli il letto”, vide la foto del Maestro con Madre Teresa di Calcutta scattata a Scutari nel 1993 in occasione dell’arrivo del Papa Woytila, là in visita pastorale. La Trani credendo che quel loro incontro fosse una vicenda unica chiese a Delija cosa si fossero detti dopo tanti anni separati ma il Maestro le spiegò che non fu affatto un episodio isolato, la Santa sapeva di alcune opere di Lin Delija nella Pinacoteca Vaticana, e il 12 maggio 1981, in forma riservatissima e accompagnata dal nipote regista Gjon Kolndrekaj andò a trovare il suo conterraneo, ormai stabilitosi ad Antrodoco, in quest’occasione ebbe modo di ritrarre la Santa(figura 11).
 Delija la rappresento persino nei panni di una lavandaia antrodocana, dove “l’associazione preghiera-lavare in ginocchi risulta piuttosto evidente”.39
Anche l'Associazione degli abruzzesi in Trentino-Alto Adige40 rivela con una nota che la religiosa più famosa al mondo si recò ad Antrodoco, borgo suggestivo alle falde del Monte Giano. Andò per incontrare la semplicità della gente e soprattutto il conterraneo pittore albanese Lin Delija che la ritrasse in più opere in segno di devota e fraterna amicizia.  
Non sappiamo bene in quali circostanze si conobbero la prima volta, se a Scutari, a Roma o ad Antrodoco. Certo è che dopo il 1981 la incontrerà di nuovo altre volte a Roma e poi nel 1993 nella sua Scutari.
 

figura 11 (Madre Teresa di Calcutta, 1981)
Capitolo 3: Lin Delija e l’esperienza dell’insegnamento.
 
La breve esperienza di insegnante fatta a Firenze nel 1954 nella “Piccola Accademia di Pittura” fondata da Monsignor Luigi Stefani fu fondamentale per il futuro dell’artista, sarà determinante per la nascita della scuola di Villa Mentuccia ad Antrodoco.  
Prima di riuscire a portare a termine questo progetto, fra la metà degli anni ’70 e i primi anni ‘80, Delija fondò la Galleria del Duomo intitolata Gjergj Fishta,41 e presso il Santuario della Madonna delle Grotte la Galleria d’Arte Sacra Giovanni XXIII. Entrambe oggi non esistono più.
41 G. Fishta (Fishte 1871- Scutari 1940) frate francescano, è stato poeta, politico e traduttore.
42 Morichetti F., Appunti per una biografia, nel catalogo a cura di Accerboni M., 2019, p.75-76
43 Grassi F., in Prospettive sabine, 1986, nel catalogo del Museo archeologico di Potenza, Lin Delija Le ultime sette parole del nostro redentore sulla croce, 2007, p.32
 
3.1 - La scuola di Villa Mentuccia
Il modello ideale di Accademia per Delija era una sorta di bottega d’arte rinascimentale, con un selezionato gruppo di allievi.42
A seguito dell’abbandono di Villa Mentuccia da parte dei pochi Claretiani rimasti per la nota crisi delle vocazioni, la sontuosa costruzione a qualche chilometro da Antrodoco rimase deserta.43 Così i religiosi la cedettero alla Comunità Montana del Velino e nel 1982 la stessa comunità la mise a disposizione del Maestro Lin Delija che fondò in quel luogo immerso nel verde la Libera Accademia di Belle Arti “Carlo Cesi”. In questa beata solitudine indossò di nuovo i panni del professore, senza aspettarsi nessuna retribuzione, riversò tutta la sua esperienza d’arte e di vita nell’insegnamento,nell’insegnamento,nell’insegnamento,
44 Sgarbi V., Lin Delija: dal Paese delle Aquile in volo verso la libertà, 2015, p.7
45 Alcuni artisti mentucciani: Domenica Luppino, Carmelo Sarcià, Antonio Lugini, Giuseppe Masotti, Miriam Vitiello, Alessandro Melchiorri, Paolo Scarpellini, Rolando Fainelli Carloni, Diana Belotti De Cataldo, Amedeo Graziani, Nicola Gianferri, Elena Mosconi, Genti Taavanxhiu, Nicolin Borijci, Iolanda Coletti, Marzio D’Alfonsi, Egidio Blasetti, Paolo Dionisi, Cristina Paone, Davide Tedeschini, Franco Fiocco, Gabriella Trani, Fabio Grassi.  
 
3.1.1 - I “Mentucciani”
Il termine “mentucciano” fu coniato dal giornalista Aimone Filiberto Milli per definire i pittori e l’ambiente artistico che ruotavano attorno a Delija. Nell’Accademia di Villa Mentuccia si formarono circa una quarantina di allievi, alcuni tutt’oggi attivi in Italia.45 Molti continuano a studiare e scrivere sull’opera del maestro che li ispirò, tramandando le loro conoscenze anche attraverso l’insegnamento scolastico.
Personalmente ho avuto esperienza diretta delle capacità del Maestro Amedeo Graziani che insegnava nella sessione B della Scuola Elementare Luigi Mannetti di Antrodoco, io facevo la sessione A e non riuscivo a spiegarmi come mai tutti i compagni della B (chi più chi meno) già a setto, otto anni sapessero rendere credibile il disegno di un animale o un paesaggio. Oggi lo so. Il loro maestro fu allievo di un grande ed aveva ben appreso le tecniche del disegno e della pittura riuscendole poi a tramandare ad una classe elementare degli anni 90.

figura 12 (Ingresso di Villa Mentuccia, 1990) Capitolo 4: Ciò che resta, le attività nate in sua memoria
 
4.1 - Museo della città di Antrodoco
Nel maggio del 2002 Antrodoco ha inaugurato il Museo della Città Lin Delija-Carlo Cesi nei locali del seicentesco Convento di Santa Chiara. Tutte le opere presenti sono frutto di donazioni da parte di collezionisti ed estimatori del pittore.
Inizialmente il progetto museografico poneva in dialogo le rare testimonianze del Cesi,46 conservate nel paese natale,47 con quelle del pittore albanese sia per le comuni assonanze del soggetto sacro, sia perché la riscoperta dei valori artistici del pittore seicentesco si deve anche alla sensibilità di Delija, che intese rinnovarne la memoria intitolando a lui la sua Accademia. Negli anni però l’impostazione delle opere all’interno del museo ha subito varie modifiche.  
46 Carlo Cesi (Antrodoco, 1622 - Rieti, 1682) è stato un pittore e incisore italiano.
47 In un primo momento collocate nel museo, poi spostate nel Teatro di Sant’Agostino ad Antrodoco.
Oggi arrivando davanti l’uscio del portone, prima di salire le scale che conducono presso i locali del museo, troviamo una vecchia lastra di ferro grande circa 100x100 cm con sopra una sorta di marchio con firma dipinto dal Maestro (figura 13). Chiedo informazioni a un ex allievo e caro amico di Delija, mi racconta che un tempo la lastra era posta lungo la Strada Statale 17 fuori dal Santuario della Madonna delle grotte dove Delija istituì la sua prima Galleria d’Arte Sacra intitolata a Papa Giovanni XXIII. Ovviamente era lì per attirare l’attenzione dei passanti ed invitarli a visitare la Galleria. Oggi ha la stessa funzione per il Museo della Città.  figura 13 (Lastra di ferro con firma del Maestro, 1980 ca.)

Entrando, il percorso espositivo prende le mosse dal retro di un quadro composto da un fitto tessuto di legni di scarto, con i quali Delija costruiva a volte le tavole per i suoi dipinti. Il quadro in questione è la Donna alla finestra (1987) che sembra indicare con lo sguardo la direzione al visitatore. Avanzando entriamo nella Prima Stanza da cui emerge subito un Autoritratto giovanile (1958) di Delija che dialoga con un Paesaggio di Antrodoco (1988) come conferma di una storia compiuta. Andando avanti troviamo altri ritratti di persone sacre o profane fino ad arrivare alla Seconda Stanza o della Maddalena dove subito la grande tavola dell’Impiccagione dei sacerdoti (1970 ca.) crea il disagio e la riflessione del visitatore, con la figura del cristo in primo piano flagellato ed esangue legato alla colonna, le figure gelide dei frati impiccati sulla sinistra e infine, l’occhio del visitatore più attento, potrà cogliere le line nere nell’angolo all’estrema destra che danno vita ad una figura dolorante e sconvolta
dalle atrocità commesse dal regime. Continuando il percorso, sul fondo di un breve corridoio troviamo il Crocifisso (1958) (figura 14) “che attrae lo sguardo del visitatore nella sua vertigine di uomo sospeso sull’abisso”.48 Poi le Tre Marie (1960) (figura 15), cupe e addolorate, attese dai piedi del Cristo in alto a destra e come loro anche La Maddalena (1980) (figura 16) a terra, sfinita dal dolore, sovrastata a sinistra dai piedi senza vita del figlio crocifisso. Ma in questa seconda stanza, oltre alle tavole di arte sacra troviamo immagini di gioie effimere, canti e balli che evidenziano la femminilità della donna a cui Delija fu molto sensibile.                                                                                                    
48 Bua R., Cuppini S., 2003, p.22

Figura 14 (Crocifisso, 1958)
figura 15 (Le Tre Marie, 1960)

 

Figura 16 (La Maddalena, 1980)
Nella terza stanza La Madonna degli albanesi (1970) (figura 17) dipinta come una pala del Cinquecento veneto, ci mostra lei ancora giovane sul trono con in grembo il bambino e in basso la folla in adorazione piena di colore, vestita però con i costumi della tradizione albanese. Poi altre tele dedicate alla comunità albanese, che Delija porterà sempre nel cuore.
figura 17 (La Madonna degli albanesi, 1970)

Nella Quarta stanza il tema è quello ricorrente delle Lavandaie in ginocchio lungo le rive del fiume Velino, intente nello svolgere i loro lavori.  
L’ultima Stanza è posta lungo un ampio corridoio che conduce all’uscita del museo, il visitatore è accolto da una folla di personaggi a grandezza naturale. L’ultima immagine è quella di sé stessi riflessi in uno specchio di dimensioni uguali alle tavole con la scritta “Prima di morire ci rimane qualche specchio nel camerino ma pochi” attribuito a Mario Mafai, maestro di Delija negli anni romani. La scritta si interrompe in modo brusco, senza puntini di sospensione, senza poter suggerire nulla al visitatore, ma costringendolo semplicemente a specchiarsi; ad osservare sé stesso cercando di riconoscersi nella propria immagine.

figura 18 (Quinta Stanza)
Ma il Museo non si conclude con la nostra immagine riflessa allo specchio. Prima dell’uscita è stata creata la Stanza del disegno, inopportuna qualsivoglia descrizione, intendo riportare in questa sede solo la scritta affissa all’ingresso e lasciare all’ipotetico visitatore la scoperta.  
Recita così: “L’esercizio quotidiano al disegno deve restare racchiuso nell’intimità: ci è consentito spiarlo soltanto”.
4.2 - Associazione Culturale Lin Delija, tutte le attività fatte in sua memoria
Nota biografica dell’Associazione Lin Delija per il catalogo “Lin Delija in viaggio verso casa” già pubblicato in occasione della mostra a Gorizia il 23 marzo 2019.
Nel 1994 morì a Roma il maestro di pittura Lin Delija, dopo il funerale amici e allievi conosciuti come i “mentucciani”, si riunirono ad Antrodoco al solito bar, e fu lì, in quei momenti di tristezza, che misero nero su bianco con tanto di firme una lettera contenente le idee da portare avanti per onorare le memorie del maestro. I pensieri e le iniziative albergarono nelle menti di ognuno per molti anni ma riuscirono a concretizzarsi e prender vita solo nel 2005 con la fondazione dell’Associazione Lin Delija grazie all’unico “mentucciano” rimasto fedele alla parola data o più propriamente scritta, Armando Nicoletti. Prima della nascita di quest’ultima, altri conoscenti cari al maestro, in collaborazione con il Comune, riuscirono ad inaugurare nel 2002 il museo della città di Antrodoco, che oggi fa parte dei percorsi museali della Regione Lazio, dedicato a Lin Delija e Carlo Cesi. Nel periodo anteriore la nascita dell’Associazione    diedero comunque vita ad alcune piccole ma significative iniziative, come il bigliettino di auguri natalizi raffigurante un’opera del maestro promossa dal Comune nel 2002 e divulgato così nel paese, la mostra intitolata “La figura femminile nell’opera di Lin Delija” nel 2003. Ancora, sempre nello stesso anno, ma non definibile “piccola iniziativa”, l’esposizione dei quadri intitolati “Ultime sette parole di Cristo”, in mostra a Passau in Germania in compagnia dei grandi della pittura. L’anno seguente, nel 2004, iniziò la collaborazione con le autorità albanesi grazie ad Armando Nicoletti, protagonista assoluto dell’opera di divulgazione che in quell’occasione, e in molte altre, si manifestò attraverso la donazione di ben quindici opere alla Galleria Nazionale d’Arte di Tirana. Sempre in questi anni si materializzò l’idea di un primo catalogo dedicato all’opera e alla vita dell’artista intitolato “Lin Delija, all’incrocio degli sguardi”, edito grazie a Silvia Cuppini e Roberto Bua, che progettò il Museo.  
 Finalmente nel 2005 venne fondata l’Associazione che negli ormai tredici anni di vita ha promosso innumerevoli attività alla cui base c’è sempre stato un gesto di umiltà e generosità: la donazione dell’opera appunto. Oltre a quella già ricordata possiamo menzionare un’altra, nel 2007, alla chiesa “Our Lady of Albanians” di Detroit raffigurante Gjergj Fishta, padre francescano e poeta connazionale di Delija. Inoltre, dopo la donazione, al rientro in Italia, l’attuale Presidente dell’Associazione Pasquale Chiuppi organizzò una mostra fotografica con gli scatti dell’esperienza americana; è del 2009 la donazione del dipinto “Ritratto femminile” alla Presidenza della Repubblica di Albania.  Nel 2008 la famiglia Roncaglia Campanelli di Osimo dona al Museo Diocesano di Brescia, già possessore di altre sei opere del maestro, il ritratto di Papa Giovanni XXIII.  
Con profondo sentimento, nell’aprile del 2012 è la volta della donazione, alla presenza di Pasquale Chiuppi e Donato Paluzzi dell’Associazione antrodocana, della Scutarina alla Fondazione Culturale “Madre Teresa di Calcutta” di Scutari - da non confondere con quella omonima italiana nata a Potenza nel 2008 -, fondata e presieduta da Liri Berisha (moglie di Sali Ram Berisha),49 nata grazie alla connazionale, e amica del pittore, Santa Madre Teresa di Calcutta.  
49 [sa'li b.'.i.a]) (Tropojë, 15 ottobre 1944) è un politico albanese, Primo ministro dell'Albania dal 2005 al 2013, e in precedenza Presidente della Repubblica dal 1992 al 1997.
 
 Nel 2013 un’altra donazione a Borgo San Pietro (frazione del comune di Petrella Salto, in provincia di Rieti) alle suore francescane di Santa Filippa Mareri alle quali venne donato un quadro di arte sacra. Per concludere la parte delle donazioni, l’ultima è del 2017 al Comune di Mdina a Malta, fatta dal già citato socio fondatore Armando Nicoletti che per l’ennesima volta si è spogliato di un’opera, ma soprattutto di un ricordo affettivo del suo amico Lin, per renderlo tesoro dell’umanità e non solo tesoro della sua casa.  Ovviamente l’Associazione oltre alle donazioni si è impegnata a dar luogo a molte mostre e iniziative di vario genere per
promuovere l’opera di Delija. Nel 2010 riuscì a concretizzare l’idea di un francobollo rappresentante il volto dell’artista grazie alla disponibilità delle Poste albanesi, e nello stesso anno per invito dell’Associazione e del Comune di Antrodoco venne in visita ufficiale presso il museo della città e in tutti i luoghi che fecero parte della vita del pittore, il Presidente della Repubblica Albanese Bamir Topi. Nel 2011, a riprova del buon lavoro svolto dall’Associazione, il governo albanese concesse ad Armando Nicoletti la medaglia delle riconoscenze, donata solo ad altre tre personalità italiane. Nello stesso anno, in occasione del centesimo anniversario dell’indipendenza dell’Albania, lo stesso socio portò in mostra le opere della sua collezione privata a Radio Vaticana alla presenza di Padre Federico Lombardi.50  
50 (Saluzzo, 1942) è un sacerdote e giornalista italiano della Compagnia di Gesù, dal 2006 al 2016 direttore della Sala stampa della Santa Sede.
 Sempre in questi anni venne creato il sito www.lindelija.it arrivando nel 2018 ad oltre 280.651 visitatori, purtroppo recentemente hackerato, con la perdita di numerosi dati.  Dal 17 al 31 marzo 2012 l’Associazione organizzò all’interno dei suoi locali l’evento: “Dall’Arte Sacra alla Pittura Psicologica di Lin Deljia, un saluto prima del cammino verso la propria patria”, per onorare le opere che di lì a qualche giorno avrebbero fatto ritorno nella terra natia del suo creatore per realizzare un museo nella città di Scutari.   
L’Associazione negli anni ha fatto in modo che il museo venisse conosciuto da importanti personalità del mondo della politica e dello spettacolo, come Renato Zero che spese parole bellissime per Delija con le quali fu poi realizzata una cartolina esposta al museo. L’Associazione e il Comune possono vantare i rapporti intercorsi con il critico d’arte Vittorio Sgarbi che venne ad Antrodoco nell’agosto 2015 per presentare il catalogo “Lin Delija: dal paese delle aquile in volo verso la libertà” di cui lui stesso fu curatore e autore dell’introduzione.  Ad ottobre dello stesso anno venne pubblicato, anche grazie al sostegno della fondazione Varrone di Rieti, a cura di Adrian Ndreca e Rodolfo Papa il catalogo “Fede e pittura in Lin
Delija” in occasione del convegno “L’Albania nei documenti dell’Archivio di Propaganda Fide” tenutosi presso l’Università Pontificia Urbaniana in cui vennero esposte opere del maestro di vari collezionisti privati.  A dicembre del 2017 in collaborazione con l’Associazione Culturale Italo-Albanese venne organizzata la “Festa della bandiera, festa e flamurit, Lin Delija pittore del novecento” presso il centro sportivo Arcobaleno di L’Aquila.  
Più recentemente, nell’estate del 2018 è stata organizzata una mostra all’interno del Museo di Antrodoco, dove ha esposto i suoi quadri, ponendoli ai piedi delle opere di Delija in segno di profondo rispetto, il pittore Livio Caruso. La mostra è stata intitolata “5x3x1 - Cinque opere per tre giorni per un maestro. A Lin Delija”. Il 5 settembre del 2018, per il ventunesimo anniversario della morte di Santa Madre Teresa di Calcutta, l’Associazione Lin Delija ha posto sull’arco dedicato al pittore, in via Mannetti, una targa per onorare l’amicizia e il rispetto che c’era fra i due. Delija, uomo di fede profonda, ritrasse la santa nel 1981 proprio nella casa adiacente l’arco. La targa è stata generosamente donata da un connazionale albanese del pittore per ringraziare l’associazione che da anni onora l’artista e le sue origini albanesi. Negli anni i membri dell’Associazione non hanno perso occasione per far visita ad alcune opere donate dallo stesso Lin Delija a musei e fondazioni, come la Deposizione donata al Museo Stauròs di San Gabriele in provincia Teramo o, sempre una Deposizione, donata alla Cittadella di Assisi. Nonostante le dimissioni dei precedenti Presidenti i membri non si sono mai persi d’animo, perorando la causa della divulgazione dell’arte del loro maestro e amico scomparso; grazie a questa vera e propria opera di propaganda effettuata nel corso degli anni il governo albanese ha riconosciuto al maestro Lin Delija gli onori della patria: un uomo fuggito da esule rientrato nelle memorie della sua terra come “eroe”. Fanno parte dell’attuale direttivo dell’Associazione il Presidente Pasquale Chiuppi, il Vicepresidente Donato Paluzzi, la segretaria Serena Di Loreto e i consiglieri e soci fondatori Armando Nicoletti, Giuseppe Grassi e Marzio D’Alfonsi.  
 Capitolo 5: Lin Delija oggi, fra mostre, tele rubate e la patria natia
 
Delija non ha vissuto tra le glorie e gli onori dovuti ai grandi Maestri. È stato un pittore povero per scelta, si è sempre sottratto alle leggi del mercato vivendo esclusivamente per l’arte. Gli amici dell’Associazione a lui intitolata, raccontano di episodi in cui avrebbe potuto vendere alcuni quadri solo a patto della rimozione di alcune scritte contro il regime, ma Delija si rifiutò in modo costante. Per lui trasmettere la storia e la sofferenza del suo popolo restò sempre al primo posto, per questo rifiutò vari introiti nonostante vivesse in totale povertà. Cancellarle sarebbe stato come rinnegare il dolore della sua patria.
 
5.1 - La tela rubata all’Ospedale San Camillo De Lellis di Rieti
Più che vendere i suoi quadri Delija li donava. Negli anni fece molteplici donazioni a musei e fondazioni. Usò la sua arte come unico sostentamento per l’anima e a volte anche per il corpo; quando venne operato agli occhi dal professor Paolo Cati, non possedendo nulla al di fuori dei suoi dipinti lo ringraziò donandogli una tela raffigurante Santa Lucia (s.d.) con in mano un piattino sul quale si trovano gli occhi. La tela perfettamente incorniciata fu appesa presso i corridoi di oftalmologia dell’Ospedale San Camillo De Lellis di Rieti fino a quando, la scorsa estate ci è giunta una sconcertante notizia tramite il Messaggero di Rieti:  
“È stata poi tolta dalla parete solo qualche mese fa, quando l’accompagnatore di un paziente, esperto d’arte, fece notare alla caposala e ad altri operatori sanitari del De Lellis che quella tela aveva un valore inestimabile e che, tenerla in quel corridoio era un delitto. Il quadro di Santa Lucia è stato così impacchettato ben bene, avvolto in un grande telo di plastica e portato nella stanza dell’attuale primario del reparto di Oculistica, Fabio Fiormonte, in attesa di decidere una definitiva e più sicura sistemazione. Per la cronaca, la tela è stata posta sopra un armadio della stanza del primario, nascosta anche alla vista. Qualche giorno fa, però il professor Fiormonte,  mentre era al lavoro nel suo studio, si è accorto che sopra l’armadio era stato spostato qualche cosa. Ad una più accurata osservazione, ha notato che lo spigolo della cornice del quadro era scheggiato, come se fosse caduto a terra. Ha quindi controllato meglio e, con suo grande stupore, si è reso conto che la tela di Santa Lucia con in mano un piattino con gli occhi non c’era più, accuratamente «tagliata» dalla cornice e fatta sparire. Un lavoro da professionisti, da ladri di opere d’arte”.
51Bergamini M., Il Messaggero, Rieti 30 luglio 2018, p. 31
52 Caruso L., nel catalogo a cura di Accerboni M., 2019, p. 20
Personalmente penso che sia stata una noncuranza da parte del personale togliere la tela dal corridoio per depositarla, anche se ben impacchettata, sopra un armadietto. Spero comunque che grazie al lavoro delle forze dell’ordine si possa al più presto rimediare a questa leggerezza e ritrovare la tela, dandogli questa volta una degna collocazione.
 
5.2 - Le mostre e i progetti futuri
Negli anni le iniziative fatte per rendere noto quest’artista sono state molteplici. Proprio ultimamente è stata inaugurata una nuova mostra per rendere onore alle memorie del Maestro. Per quest’ultima iniziativa bisogna ringraziare Livio Caruso, che frequentò Delija durante i primi anni Settanta per richiesta dei suoi professori dell’Istituto d’Arte di Rieti. Periodicamente lo mandavano ad Antrodoco per consegnare libri sull’arte al Maestro Delija in contatto con varie personalità all’interno dell’Istituto reatino. Caruso rimase così affascinato dalla figura dell’artista e dall’arredo del suo vicolo in via Mannetti che lo ricorda tutt’oggi come un luogo magico dove “tutto trasudava arte”52. Poi nel 1974 Caruso si trasferì a Roma e in seguito in Friuli perdendo completamente di vista il Maestro. Gli anni cancellarono il nome dalla memoria ma non il ricordo, cercò in tutti i modi di ricordare come si chiamava quel pittore, senza avere successo. Fino a quando, grazie ad una pagina Facebook vide il Museo della Città di Antrodoco a lui intitolato. Era lui l’artista conosciuto negli anni giovanili e mai più ritrovato. Da questo momento in poi Caruso si metterà in contatto con il Comune di Antrodoco e con l’Associazione Lin Delija, riuscendo a far partire il progetto di una nuova mostra intitolata “Lin Delija in viaggio verso casa” con partenza da Gorizia, città in cui da anni vive Caruso, fino a passare per Zagabria, arrivando poi come tappa finale a Scutari.  
Le aspettative sono alte ma le varie istituzioni che si stanno adoperando in Italia hanno tutti i motivi per credere che l’Albania accoglierà volentieri qualsivoglia iniziativa volta ad onorare l’artista a cui diede i natali.  
Quella patria che un tempo lo rese orfano, esule e povero oggi è pronta ad accoglierlo con i più grandi onori. Anche a Scutari è stata fondata l’Associazione Shoqata Lin Delija Art, in continua collaborazione con quella di Antrodoco e con tutte le persone interessate a promuovere e divulgare l’opera del maestro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 Conclusioni
 
Le motivazioni che mi hanno spinta alla scrittura di questa tesi, sono ovviamente di natura affettiva, quando il Maestro morì avevo solo quattro anni, ma mia madre e gli amici del pittore mi raccontano da sempre dell’amicizia che lui aveva con mio nonno e della bellezza del vicolo in cui abitava a pochissimi passi da casa mia, quel vicolo dove tutt’oggi cammino continuamente, rivolgendo il pensiero a un passato che non ho potuto vivere ma che gli altri, e soprattutto Delija con la sua arte, sono stati in grado di raccontarmi. Partendo da questo valore affettivo oggi, grazie alla scrittura di questa tesi e allo studio che ha comportato, sono in grado di apprezzare il Maestro come artista del Novecento a pieno titolo. Adesso sono in grado di vedere il suo valore anche estraniandolo dal contesto della mia terra natia, che significa contesto affettivo. Oggi vedo lo studioso d’arte esule che, con il suo vagabondare da un luogo all’altro ha saputo arricchire la sua tecnica e il suo modo di rappresentare il mondo.
Spero, attraverso questo scritto, di poter attirare l’attenzione e la sensibilità di nuovi studiosi e critici d’arte alla comprensione più accademica di questo artista, vissuto come un’umile servo dell’arte.
 
 
 
 
 
 
 Le mostre dal 1957 ad oggi.  
 
1957, Roma, Foyer di Pax Romana, 8 - 22 giugno, collettiva
1957, Roma, Galleria “Babuinetta”, aprile, personale
1958, Roma, Sale del Dopolavoro del CONI, gennaio, collettiva
1959, Roma, Galleria “Agostiniana” presso la Chiesa di Santa Maria del Popolo, maggio, collettiva
1959, Firenze, Galleria “Lo Sprone”, ottobre- novembre, Lin Delija e Mark Lukolic
1961, Roma, Galleria ”Agostiniana”, giugno, collettiva
1963, Roma, Galleria “La Botteguccia di Donna Tania”, febbraio, personale
1963, Roma, Galleria “La Botteguccia di Donna Tania”, marzo, collettiva
1963, Roma, Galleria “Agostiniana”, marzo, collettiva
1963, Firenze, Galleria “Lo Sprone”, dicembre – gennaio 1964, personale
1964, Rieti, Palazzo Ricci, novembre, personale
1966, Antrodoco, Galleria d’Arte Sacra Giovanni XXIII, giugno – agosto, personale
1966, Celano, Castello, Mostra d’Arte Sacra, agosto, collettiva
1968, Modica, Mostra d’Arte Sacra Contemporanea, collettiva
1969, New York, Americana Hotel, novembre – dicembre, personale
1970, Modena, Hotel Real Fini, personale
1971, Roma, Centro Culturale Canova, maggio, personale
1972, Firenze, Galleria “Lo Sprone” dicembre – gennaio 1973, personale
1984, Aalen, Rathausfoyer, dicembre, personale 1986, Rieti, Chiesa di San Pietro, agosto, personale
1988, Pescara, Palazzo del Governo, Sala dei Marmi, aprile – giugno, collettiva
1990, Osimo, Centro Attività Culturali San Silvestro, marzo, personale
1990, Castelfidardo, Sala Piazza Leopardi, ottobre, collettiva
1993, Roma, Ambasciata d’ Albania, dicembre, Lin Delija e Diana Bellotti de Cataldo
1999, Tindari, fraz. Patti (ME), Santuario di Tindari, giugno – settembre, collettiva
2001, Antrodoco, Chiesa di Sant’Agostino, agosto, personale
2003, Antrodoco, Museo della Città Lin Delija – Carlo Cesi, maggio, personale
2004, Tirana (Albania), Galleria Nazionale d’Arte, aprile
2007, Potenza, Museo Archeologico, novembre
2008, Brescia, Centro Mater Divinae Gratiae, marzo
2008, Passau (Germania), Museo del Tesoro del Duomo, giugno – settembre, collettiva
2009, Brescia, Museo Diocesano d’Arte Sacra, febbraio – maggio
2010, Bologna, Complesso Santo Stefano, febbrai – marzo
2015, Roma, Pontificia Università Urbaniana, ottobre, personale
2019, Gorizia, Galleria d’Arte “Mario di Iorio”, 23 marzo – 9 aprile, personale
 
 
 
 
 Le opere citate nel testo
Autoritratto giovanile, 1958, Antrodoco, Museo della Città Lin Delija-Carlo Cesi
Crocifisso, 1958, Antrodoco, Museo della Città Lin Delija-Carlo Cesi
Le tre Marie, 1960, Antrodoco, Museo della Città Lin Delija-Carlo Cesi
Ritratto Professor Ernest Koliqi, 1963, Collezione Privata
Impiccagione dei sacerdoti, 1970 ca., Antrodoco, Museo della Città Lin Delija-Carlo Cesi
Madonna degli albanesi, 1970, Antrodoco, Museo della Città Lin Delija - Carlo Cesi
Strada con vasi, 1974, Brescia, Collezione Arte e Spiritualità Centro studi Paolo VI
L’Arcangelo Michele e il diavolo, 1975, Antrodoco, Museo della Città Lin Delija - Carlo Cesi
Fuga in Egitto, 1977, Osimo, Museo Civico
Madonna con Bambino, 1970 ca., Antrodoco, Via Mannetti, Arco Lin Delija
La Maddalena, 1980, Antrodoco, Museo della Città Lin Delija - Carlo Cesi
La Samaritana, 1980, Antrodoco, Museo della Città Lin Delija - Carlo Cesi
Madre Teresa di Calcutta, 1981, Collezione Privata
Nudo disteso, 1984, Osimo, Collezione Roncaglia Campanelli
Donna alla finestra, 1987, Antrodoco, Museo della Città Lin Delija - Carlo Cesi
Paesaggio di Antrodoco, 1988, Antrodoco, Museo della Città Lin Delija - Carlo Cesi
Davide Re, 1990, Antrodoco, Museo della Città Lin Delija - Carlo Cesi
Autoritratto, 1993, Collezione Privata Santa Lucia, s.d., opera rubata dall’Ospedale San Camillo De Lellis di Rieti in data 30 luglio 2018
La Scutarina, s.d., Scutari, Fondazione Culturale “Madre Teresa di Calcutta”  
 
Bibliografia
F. Negri Arnoldi, Storia dell’arte, volume terzo, Fabbri Editori, Milano, 1990
A. M. Dell’Agata, A. Graziani, Lin Delija. Dalla figurazione dell’epica alla levità di Matisse. Attraverso i movimenti fondamentali del secolo l’evoluzione artistica di un maestro del ‘900, Gruppo teatrale il Carrozzone, Antrodoco, [1997]
R. Bua, S. Cuppini, Lin Delija. All’incrocio degli sguardi, Edizioni Bora, Bologna, 2003
Lin Delija. Le ultime sette parole del nostro redentore sulla croce, Museo Archeologico di Potenza. novembre 2007, V. Telesca, F. Gijmaraj, Edizioni quaderni di Arte Sacra, Potenza, 2007
V. Sgarbi, Lin Delija: dal paese delle aquile in volo verso la libertà, Scripta Manent, Reggio Emilia, 2015  
Fede e pittura in Lin Delija, Pontificia Università Urbaniana, 26 - 28 ottobre 2015, A. Ndreca, R. Papa, Regia Edizioni, Campobasso, 2015  
M. Bergamini, Rieti preziosissimo quadro del pittore Lin Delija rubato all’ospedale De Lellis, Il Messaggero, 30 luglio 2018
Lin Delija. In viaggio verso casa, catalogo della mostra Lin Delija, Biblioteca Statale Isontina di Gorizia Galleria “Mario Di Iorio”, 23 marzo-9 aprile 2019, M. Accerboni, Lithos Editrice, Roma, 2019  
 
 Sitografia
www.lindelija.it , creato nel 2019
www.ilmondo.tv , consultato il 3 gennaio 2019
www.halleyweb.com , consultato il 17 febbraio 2019
 
Filmografia
ELLE DI-CI Video, Albania calvario di un popolo
Documentario Rai, regia di Gjon Kolndrekaj, 25 febbraio 1979