La vita
Lin Delija è il pittore [albanese] che prima degli anni ‘90 si è fatto conoscere meglio in Italia. Secondo dei sei figli di Marc Delija e Luce Zefi, famiglia non agiata ma estremamente dignitosa che fornisce a Lin una educazione cattolica, approfondita grazie agli studi presso il collegio dei frati francescani della città natale, Scutari, dove conosce Marco Lukolic, compagno d'arte e di future traversie umane. Siamo alla conclusione del secondo conflitto mondiale quando in Albania prende il sopravvento il comunismo: tra i primi interventi c'è quello dell'oscurantismo culturale nei confronti dei luoghi di culto, e il convento viene chiuso. Lin, appena raggiunta la maggiore età, viene arruolato, suo malgrado, nell’esercito. Egli sente profondamente l’avversione nei confronti di un regime totalitario che rischia di cancellare secoli di stratificazioni culturali, e perciò sceglie di disertare unitamente ad altri suoi amici. Dopo un breve e rischioso soggiorno in Jugoslavia il giovane pittore giunge nella città croata di Zagabria dove ha l’occasione di studiare per sei anni nella locale Accademia di Belle
Arti. Nel frattempo in patria la persecuzione del regime si accanisce nei confronti della famiglia e durerà a lungo, fino ad arrivare al triste epilogo della deportazione nell’Albania del sud. Lin Delija non rivedrà mai più i suoi genitori.
Nel 1954 l’arrivo in Italia, terra dell’arte e ideale rifugio, segna la svolta decisiva. Entra in contatto con illustri intellettuali albanesi, in particolare con colui che è considerato il padre della moderna letteratura albanese: il poeta e scrittore Ernest Coliqi (1903-1975) che in più occasioni recensirà le sue opere. Dopo un breve ma intenso soggiorno nell'accogliente cittadina anconetana di Osimo (in occasione del quale nasce una sincera amicizia con i coniugi Campanelli) arriva a Firenze. Nel capoluogo toscano si ricongiunge all'amico scultore Marco Lukolic, sfuggito anch’egli fortunosamente alla cattura per diserzione. La città è ricca di fermenti culturali alimentati anche dalle nuove avanguardie artistiche che giungono da oltreoceano. Il pittore albanese non vi partecipa in modo diretto: egli è più affascinato dal senso della misura tutta rinascimentale della città e dalle straordinarie opere in essa contenute da sempre vagheggiate negli studi accademici. Attorno alla Galleria d’arte “Lo Sprone” nasce una libera Accademia di Belle Arti fortemente voluta da Monsignor Luigi Stefani, il quale vuole Delija come docente nel corso di pittura.
È da questa esperienza che probabilmente inizia l’interesse per l’insegnamento, che troverà il suo compimento ideale nella creazione (vent’anni dopo) dell’Accademia intitolata a Carlo Cesi ad Antrodoco. Ma la burocrazia che necessariamente implica l’attività di docente lo opprime e l’esperienza si conclude in modo piuttosto rapido. Il vero modello ideale di Accademia per Delija è una sorta di bottega d’arte rinascimentale, con un selezionato gruppo di allievi. È Roma il suo vero obiettivo: si diploma all’Accademia di Belle Arti di Via Ripetta (dove abita al civico 54 e dove dipingerà una struggente Via Crucis per tutto lo sviluppo della scalinata interna, purtroppo andata perduta). Segue i corsi dei maestri Amerigo Bartoli e Mario Mafai, dei quali diviene presto l’allievo prediletto. Grazie a loro coglie gli ultimi guizzi della scuola romana ormai al suo tramonto ma li coniuga con la cultura figurativa d’origine orientale-bizantina; da tutto ciò e da altri infiniti stimoli scaturirà un gusto e un fare pittura unici, difficilmente confondibili con le modalità dei contemporanei.
La fine degli anni cinquanta e i primi sessanta vedono l’affermazione del pittore nelle più prestigiose gallerie d’arte romane, prime tra tutte L’Agostiniana di Piazza del Popolo (in una occasione espone con lo scultore Fazzini, ed i pittori Purificato e Bartoli) e la Babbuinetta. Tra i massimi riconoscimenti merita una speciale menzione l’inserimento di un olio su tela raffigurante il volto di Cristo (1960) nella collezione permanente d’arte contemporanea dei Musei Vaticani, dove è tutt’ora ammirabile tra le opere di Matisse e Dalì. Anche la pinacoteca comunale di Roma conserva due opere di quel periodo (Vaso di fiori e Interno di bar).
Il 1960 segna anche l’arrivo del pittore ad Antrodoco per merito di Maria Cricchi, compagna d’Accademia che lo presenta prima a Rolando Fainelli e poi ai fratelli Brunelli. Qui trova anche amici ed estimatori come Armando Nicoletti.
Tra i monti e il fiume Velino trova l’ambiente adatto alla sua pittura e al suo modo di sentire: un paesaggio drammatico che gli ricorda l’amata Scutari, gente semplice e fiera che si trasforma in una galleria inesauribile di tipi e modelli da ritrarre. Pur allontanandosi dall’ambiente romano, ormai troppo teso verso avanguardie più estreme e compiacente di pittori ufficiali del potere anche politico, Delija non sarà mai totalmente isolato. Il suo non è un eremitaggio, le numerose mostre a lui dedicate in varie città italiane ed estere (New York nel 1969, Erlangen nel 1984 tra le più importanti) lo testimoniano. Nel 1979 la RAI produce un documentario-intervista interamente a lui dedicato. Nel 1982 fonda la libera Accademia di Belle Arti “Carlo Cesi” con sede nella panoramica Villa Mentuccia. Fu il giornalista Aimone Filiberto Milli a coniare il termine “Mentucciano” per definire i pittori e l'ambiente artistico che ruotavano attorno a Lin Delija. I rapporti con Antrodoco e le sue istituzioni non furono però sempre sereni, e anche con la vicina Rieti non furono mai profondi. Nel capoluogo sabino Delija era sufficientemente conosciuto ma non venne mai considerato un artista autentico e di respiro internazionale quale egli era.
La vicenda umana ed artistica di Delija si conclude il 9 aprile 1994 a Roma, presso l’ospedale “S. Filippo Neri”, dove muore a 67 anni per una emoraggia celebrale dopo un periodo di malattia. Eredi designati dall’artista stesso sono Flaminio e Marzio Brunelli.
Il 20 giugno 1999 viene presentata la prima pubblicazione sotto forma di catalogo; il 16 luglio 2001 la città di Osimo inaugura una sezione del locale museo civico, contenente opere provenienti dalla donazione della famiglia Campanelli. Ad Antrodoco, presso il complesso monumentale “Santa Chiara”, il 18 maggio 2002 viene aperto il “Museo della città Lin Delija - Carlo Cesi”.